Decreto Salvini bocciato: ok alla parola “genitore” sui documenti
Il decreto Salvini, firmato il 31 gennaio 2019, nel quale imponeva la dicitura “madre e padre o chi ne fa le veci” in un documento ufficiale che doveva essere compilato da due madri arcobaleno, è stato bocciato dal tribunale civile. Il giudice ha dato ragione alla coppia, dando l’ok alla dicitura “genitore” sui documenti ufficiali.
Era il 31 gennaio 2019 quando Salvini firmava un decreto che imponeva sui documenti ufficiali la dicitura “madre e padre o chi ne fa le veci”, anche di fronte ad una coppia di mamme arcobaleno. La mamma legale e quella adottiva, genitori di una bambina, hanno così deciso di fare ricorso contro il decreto Salvini, prima al Tar e poi al tribunale civile, che lo scorso settembre ha dato ragione alla coppia.
Le due donne erano arrivate in comune per richiedere la carta d’identità della bambina all’ufficio anagrafe e, durante quell’incontro, era stato comunicato loro che non si poteva procedere se non inserendo nel documento “madre” e “padre”. La formula neutra non era prevista, e per questo c’è stato il ricorso in tribunale, che si è espresso a loro favore.
Tribunale dà l’ok alla parola “genitore”: le reazioni
Secondo quanto dichiarato dall’avvocato Federica Tempori, che ha assistito le due mamme durante questo lungo percorso in tribunale, la sentenza è stata molto chiara:
Il giudice afferma che il decreto oltre a violare le norme, sia comunitarie che internazionali, è viziato da eccesso di potere. In quel provvedimento il ministro va oltre le sue competenze: la carta d’identità, infatti, è un documento certificativo di una realtà preesistente nell’atto nascita che stabilisce una madre partoriente e una madre adottiva. Non può esserci quindi disparità tra documento d’identità e l’atto di nascita.
Immediata la reazione di Matteo Salvini, che ha subito commentato la vicenda su Twitter:
Illegali o discriminanti le parole Mamma e Papà? Le parole più belle del mondo. Non ho parole, ma davvero!
Anche il Governo si è espresso sulla vicenda, dichiarando che sottoporrà la sentenza ad “attente verifiche” in quanto, secondo Palazzo Chigi, il provvedimento del giudice “mette a rischio il sistema di identità personale”.